12 marzo 23 giugno 2019
Un’immagine di Napoleone ieratica e luminosa, simbolo di un sogno di grandezza, campeggia sullo stendardo attaccato all’ingresso di Palazzo Reale a Milano. La rassegna che si è aperta al pubblico in questi giorni e che s’intitola: Ingres e la vita artistica al tempo di Napoleone ha il significato di un racconto per immagini della storia culturale e politica francese e milanese. L’arco temporale preso in esame nell’esposizione va dal 1780 al 1820: un periodo cruciale per l’intera Europa che vede il susseguirsi di numerose vicende a cominciare dalla Rivoluzione Francese fino all’incoronazione di Napoleone imperatore per concludersi con il ritorno delle antiche dinastie regnanti. L’avventura napoleonica ebbe un impatto significativo anche in Italia. Milano sarà la seconda capitale della cultura in Europa dopo Parigi. La mostra è intellettualmente curiosa perché ci rivela aspetti poco noti o addirittura sconosciuti di alcuni grandi artisti e perché ci offre la possibilità di ammirare opere che rivoluzionano la nostra concezione del neoclassicismo. Jean- AugusteDominique Ingres considerato come un esempio di questa corrente artistica, giudicata spesso algida e marmorea, stupisce per la varietà di espressioni artistiche che si possono avvicinare al clima culturale dell’epoca, estremamente ricco di fermenti. Il pittore nato il 29 agosto del 1780 nella città francese di Montauban, visse a lungo in Italia e fu direttore di Villa Medici a Firenze. Innamorato della pittura italiana del Quattrocento e del Cinquecento ed in primis di Raffaello ha ricercato negli antichi una lezione di verità e di audacia: hanno spiegato la direttrice del Musèe Ingres di Montauban, Florence Viguier-Dutheil e lo storico dell’arte Stèphane Guègan. Il neoclassicismo si ricollega al passato non nella riproposizione di stanchi modelli ma nel recupero dello slancio vitale che quelle figure di eroi e di atleti concentravano in se e nella morbidezza naturale dei loro corpi.
Il segreto di una verità e di una forza espressiva e psicologica di cui l’Ottocento ai suoi esordi avrebbe perso il senso: hanno aggiunto i due studiosi francesi. Le altre opere esposte in mostra di altri due rappresentanti singolari del neoclassicismo Antonio Canova e Jacques-Louis David accanto ad altre di Anne-Louis Girodet o Antoine-Jean Gros chiariscono che le etichette come quella del neoclassicismo, spesso assegnate a periodi storici o a pittori, possono risultare inadeguate e ostacolino la comprensione della varietà e della profondità del reale. Appare intrigante il fatto che Picasso, il grande rivoluzionario del XX secolo, sia stato intimo fino alla devozione di colui che è stato a mio parere impropriamente considerato il principe dell’accademismo e della conservazione. Ingres ha influenzato Picasso, Degas, Renoir,Cezanne e Manet che nell’Olympia rielabora la bellezza femminile del pittore francese, ha spiegato il direttore di Palazzo Reale, Domenico Piraina. Si intuisce una lezione di modernità che attraversa secoli ed epoche storiche. Abituati a pensare ad Ingres come al pittore del Bagno turco e delle Odalische rimaniamo affascinati, piacevolmente alla vista dell’opera Il sogno di Ossian che riprende un tema dei poemi cavallereschi e guerrieri dei canti nordici che allora appassionavano e che lo stesso Napoleone promuoveva nell’arte.
Napoleone era stato attento e aveva creato le occasioni per ottenere attraverso le immagini il riconoscimento del prestigio acquisito con le battaglie sul campo e un’accorta diplomazia. Nel sogno di Ossian siamo vicini alla sensibilità preromantica, mentre nei ritratti di Ingres come nel Ragazzo con l’orecchino, di cui è chiaramente palese l’aria monellesca, si rivela la capacità d’intuizione psicologica. La presenza in mostra del quadro La grande Odalisca, in versione grisaille, mostra un pittore attento alla piacevolezza della linea che disegna armonie come i suoni di un violino, strumento che il pittore aveva imparato a suonare, ma al tempo stesso quasi il disinteresse per la precisione anatomica come la presenza di tre vertebre in più nella schiena di quella dolce e avvenente donna che si gira per guardarci.
Nelle prime sale della mostra è un fatto straordinario poter ammirare numerose opere di pittrici. Incontriamo nomi più noti come Elizabeth Vigèe Le Brun, la pittrice di corte di Maria Antonietta che in seguito alla Rivoluzione francese viaggiò nelle grandi corti d’Europa e dipinse molte teste coronate.
Possiamo vedere il suggestivo grande quadro la Malinconia di Constance Maria Chapentier, allieva di Jacques David, artista storico per eccellenza, e il dipinto, copia dell’autoritratto d‘Ingres, eseguito dalla sua fidanzata Iulie Forestier.
Brilla per la lucentezza dei suoi colori l’autoritratto di Marie- Guillemine Benoist, alunna di Elizabeth Vigèe Le Brun, che è stata anche una delle prime artiste ad aprire una scuola di pittura. Marie-Guillemine, famosa per avere eseguito nel 1800 il dipinto di Donna negra, riceverà, fatto straordinario per una donna, uno stipendio dal governo francese e sarà chiamata a ritrarre Napoleone e la sua famiglia. Spicca in mostra il contrasto fra un giovane generale ritratto da Jean –Baptiste Greuze con abiti da Primo Console e il grande Napoleone, opera di Ingres con i simboli nuovi e antichi del potere, dove la qualità dei tessuti e dei materiali con cui sono dipinti gli oggetti, nella loro eleganza e preziosità richiamano il gusto della pittura fiamminga. Le incisioni con “I Fasti di Napoleone” di Andrea Appiani rappresentano un’importante documentazione iconografica del ciclo già collocato nella Sala delle Cariatidi del Palazzo Reale di Milano, distrutto nel 1943 durante i bombardamenti. Si trattava di un fregio costituito da trentanove dipinti a tempera su tela a monocromo ad imitazione del bassorilievo antico. L’intero ciclo narrava, attraverso ventuno episodi, le gesta eroiche condotte da Napoleone in pace e in guerra nel periodo compreso tra la prima campagna d’Italia (1796) e la vittoria di Friedland (1807).
Il mecenatismo non era solo del sovrano e dell’aristocrazia: una sala è stata dedicata a Gian Battista Sommariva, una persona semplice che prima di laurearsi in diritto era stato barbiere e che cresciuto economicamente era diventato un grande patrocinatore e collezionista di grandi artisti come Canova, David, Proud’hon, Appiani, Girodet. Il busto di Napoleone di Antonio Canova accanto a quello con l’imperatore degli scultori Francesco Massimilano Labourer e Gaetano Monti illuminano con il biancore dei loro marmi l’incisività dell’espressione di un uomo, mentre il fondale nero ne aumenta il fascino. Si trovano così vicini, anche se in due stanze diverse Gian Battista Sommariva e Napoleone: due diversi promotori dei fatti artistici degli anni a cavallo tra la fine del Settecento e i primi decenni del nuovo secolo. Un rilievo importante è stato dato in mostra all’apparato dei disegni di Ingres che grazie anche al progetto di allestimento di Corrado Anselmi trovano una giusta valorizzazione e naturalezza di inserimento nel contesto della rassegna facendone apprezzare il significato soprattutto in relazione al valore attribuito al disegno dal maestro francese. Il pittore sosteneva: Raffaello e Leonardo da Vinci possono provare che il sentimento e la precisione (disegno) possono allearsi. La mostra comprende oltre 150 opere, di cui 60 dipinti e disegni di Ingres. La sindaca di Moutauban, Brigitte Barèges, ha raccontato durante la conferenza stampa: l’artista lasciò in eredità alla sua città natale Montauban, 4500 disegni oltre a numerosi tesori facenti parte della sua collezione personale. La chiusura del museo Ingres per lavori di restauro fino a dicembre 2019 è anche un’occasione per far conoscere a Milano, Montauban e il suo artista più significativo. In Cina la mostra ha avuto 400.000 visitatori. Un altro grande maestro dell’arte ha trovato quindi una sede appropriata di visione nella storiche sale di Palazzo Reale con la cura di Civita Mostre e Musei. Il catalogo curato dagli storici dell’arte francesi Florence Viguier-Dutheil e Stèphane Guègan è pubblicato da Marsilio Editori. Nella sezione finale della mostra troviamo La morte di Leonardo da Vinci di questo eclettico pittore francese, opera che chiude così con un omaggio al genio leonardesco, di cui quest’anno ricorrono i cinquecento anni dalla morte, un’esposizione che si arricchisce dei prestiti di istituzioni museali statunitensi francesi, inglesi e italiane.
Patrizia Lazzarin