NOW WE HAVE SEEN. DONNE E ARTE NEGLI ANNI ‘70

Per 4000 anni siamo state guardate, ora guardiamo noi. La frase è contenuta in un testo fondamentale del femminismo italiano: Manifesto di Rivolta femminile scritto nel 1970 dall’artista Carla Accardi, dalla giornalista Elvira Banotti e dalla critica d’arte Carla Lonzi. Queste potenti parole che mostrano la necessità di una rivoluzione e l’esistenza di un atavico svantaggio femminile evidenziano questo storico passaggio, ponendo l’attenzione sul guardare a meglio  sullo sguardo che da passivo diventa attivo.

La recente pubblicazione Now we have seen, Women and Art in 1970s Italy  si richiama dunque a questo contesto. Il libro a cura di Giorgia Gastaldon ed edito da Silvana Editoriale è interessante perché mette in relazione le richieste dei movimenti femministi negli anni ’70 e la Visual Art. Lo fa adottando un approccio che è principalmente storico e critico  e studia quindi l’emancipazione femminile di quel periodo mettendo in luce le sue relazioni privilegiate con la Visual Art. In quegli anni in Italia si compiono innovative riforme legislative e culturali.

Ricordiamo ad esempio  la legge sul divorzio e quella sull’aborto fino ad arrivare negli anni ’80, all’abolizione del matrimonio riparatore. Le donne furono liberate da limitazioni che condizionavano la loro vita come ad esempio l’obbligo di chiedere al padre o al marito la possibilità di avere un passaporto o il dovere di portare il cognome del marito alterando la loro originaria identità.

il primo capitolo di questo volume è dedicato agli aspetti pubblici ed espositivi delle opere delle artiste. Maria Bremer indaga le mostre per sole donne in relazione al femminismo e alla pratica di riscoprire artiste dimenticate o trascurate. Contestualizza le esposizioni all’interno della storia canonica dell’arte e della storia delle mostre, e riflette anche sull’annosa questione dell’emarginazione che le rassegne  riservate a sole donne rischiano di incoraggiare, e di cui hanno sofferto alcune partecipanti a quelle mostre. Un processo ben noto chiamato ghettizzazione delle minoranze. Per evitare questo la studiosa suggerisce di non analizzare le mostre di donne separatamente dal resto della storia delle esposizioni.

 L’autrice del secondo capitolo, Silvia Bottinelli  considera la “domesticità” nelle arti visive italiane, concentrandosi sulla casa come oggetto di interesse per alcune artiste femministe attive in Italia negli anni ’70. La casa, un luogo che vide grandi cambiamenti tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni ‘70, è al centro del pensiero femminista italiano e di conseguenza delle opere di molte artiste che, in varia misura, condividevano convinzioni simili e sviluppavano una prospettiva femminista.

Nel terzo capitolo Raffaella Perna fa focus sui metodi della rappresentazione femminile usati da un gruppo di fotografe che operano in Italia sempre in quegli anni e li mette in relazione con le categorie di compiti domestici e extradomestici. Le loro foto possono testimoniare la complessità e le contraddizioni esistenziali e lavorative delle donne italiane negli anni ’70.

Il quarto capitolo scritto da Lara Conte si concentra sulla processualità e in particolare sulla sua rilevanza per la costellazione delle esperienze femminili all’interno della scultura italiana tra gli anni Sessanta e Settanta. Essa analizza le diverse prospettive che miravano a modificare il moderno e lineare ordine di sviluppo della storia dell’arte e si interroga sulle categorie dominanti nella ricerca nel Ventesimo secolo, come la relazione tra astrazione e figurazione o le categorie in cui si inseriva lo sviluppo delle avanguardie.  Il contributo rileva così una serie di derive geografiche rispetto alla corrente principale, svelando  condizioni di marginalità. Conte fa emergere il lavoro di varie artiste che cercarono di sovvertire ruoli codificati e codificanti all’interno del mondo dell’arte.

Nella quinta ed ultima parte del libro Giorgia Gastaldon offre una rilettura dell’astrazione di molte artiste visuali che operavano negli anni ’70. Ella ha cercato di identificare una serie di strategie adottate da un gruppo di donne astrattiste che possono venire associate sia per attitudini sia per intenzioni alle idee e le azioni delle femministe italiane di quel tempo. Il volume rappresenta l’esito finale dell’omonimo progetto di ricerca sviluppato presso la Biblioteca Hertziana – Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte di Roma, nell’ambito dell’Italian Council 11, intrapreso con il sostegno e il patrocinio della Direzione Generale per la Creatività Contemporanea del Ministero Italiano della Cultura.

                                               Patrizia Lazzarin