
Entrare come fossimo in punta di piedi, ci viene spontaneo quando iniziamo a leggere le pagine del libro L’ora di greco della scrittrice Han Kang, premio Nobel 2024 per la Letteratura. Le prime impressioni che sfiorano la nostra pelle nascono dalla vista di un mondo dove persone e cose vivono in un tempo che nella sua essenza sembra di cristallo, fragile, ma anche trasparente per le visioni che fa emergere. Si ascoltano pause silenziose dove la sostanza dell’umanità affiora nelle sue pieghe. La ricchezza di aggettivi che caratterizza la prosa del romanzo condensa la delicatezza e, al tempo stesso, la forza delle emozioni dei protagonisti.
Siamo in una Seoul calda per il clima e, febbrile nello svolgimento delle attività che la descrivono. Qui si muovono una giovane donna che ha perduto la parola, ritrovandosi a vivere un’esperienza di quando era adolescente e, un insegnante di greco con grossi problemi alla vista che è tornato nella città coreana, dopo aver vissuto in Germania come esule.
Essi spiccano per una speciale pacatezza che si spoglia della matericità del dolore. Sono anime che hanno sofferto e che restituiscono al lettore l’una, il gelo e l’immobilità simile a quella di un corpo sotto strati di neve e l’altro, la morbidezza di un gesto di calore. La donna, sempre vestita di nero, soffre per il lutto recente della perdita della madre e per lo “strappo” del figlio deciso dal marito. L’insegnante, dal canto suo, è stato consapevole fin da ragazzo di esser afflitto da una malattia agli occhi che lo condannerà alla cecità.
Un diaframma caratterizza, in modo differente, la loro capacità di comunicare con il mondo che li circonda, ma la lingua parlata e scritta diventano strumenti validi a segnare una strada percorribile dove resiste la poeticità dell’esistenza umana, accanto alla sua caducità. La lingua greca antica con i suoi lemmi capaci di contenere, in ognuno, più significati in grado di darci la misura del pensiero dei nostri antenati europei si unisce ai significati degli ideogrammi coreani nel farci comprendere la potenza evocativa delle parole.

Sillabe e vocaboli come suoni che riecheggiano dentro di noi, cercano di riordinare il caos del mondo. E allora al di là delle tante cose belle che sentiamo di amare nella storia raccontata, la protagonista di queste pagine diventa proprio la parola, sia che si combini in uno stile sintetico tipico della poesia, sia in quello più articolato della prosa. Attraverso la composizione e l’armonia di esse, raccogliamo pezzetti e colori del mondo, sentimenti frammisti a sensazioni e ora, qui, l’anima di un uomo e di una donna.
Parole che si sciolgono in poesia in uno dei dialoghi finali fra una persona che ora non riesce più a parlare ed una che sta diventando cieca.
Il suono della pioggia era incessante. / Qualcosa dentro di noi si era spezzato/. Là dove non c’era luce né voce, / tra frammenti di corallo sbriciolati dalla pressione, / i nostri corpi cercavano di risalire in superficie. / Ma non volendo risalire, / ti ho messo un braccio al collo. / Ho cercato la tua spalla e l’ho baciata. / Per impedirmi di farlo ancora, / hai preso il mio viso tra le mani ed emesso un suono impercettibile …
In molte righe appare il potere allusivo delle parole come quando incappiamo nel termine coreano 숲, ossia bosco, che assomiglia nel disegno ad un’antica pagoda. La protagonista femminile dice, pensando a quando era bambina: “amavo la sensazione che provavo quando la pronunciavo, arricciando le labbra e poi, lentamente, con cautela, rilasciando il respiro prima di richiuderle. Una parola che trova compiutezza nel silenzio”.
E soffermandoci sulle riflessioni degli stessi protagonisti del romanzo, mi è parso interessante citare questo breve brano dove compare il professore di greco: “Quando gli esseri umani cessano di comunicare in silenzio, servendosi solo di suoni inarticolati come oooh e uuuh, e formano le prime parole, il linguaggio comincia lentamente a strutturarsi in un sistema. E allorché questo sistema raggiunge il suo apice, è dotato di regole estremamente rigorose e complesse. … Dal momento esatto in cui una lingua arriva al suo apogeo … via via si modifica e diventa più facile da usare. … Le odierne lingue europee sono il prodotto di una lunghissima trasformazione che le ha rese meno rigide, meno accurate, meno complesse. …
Potremmo concludere affermando che ogni Lingua racconta un modo dell’uomo di “penetrare” il mondo.
Patrizia Lazzarin