
La mostra che abbiamo annunciato ieri e che aprirà al Tate Gallery di Londra il 27 novembre di quest’anno mettendo a confronto Constable e Turner, offre l’occasione per soffermarsi anche sull’operare di quest’ultimo artista, amato dal critico inglese John Ruskin che scriverà di lui proprio confrontandolo con l’altro grande pittore.
“Constable percepisce in un paesaggio che l’erba è umida, i prati sono piani e i rami ombrosi, e cioè quanto potrebbe essere appreso da un cerbiatto o da un’allodola intelligenti. Turner percepisce con uno sguardo l’interezza della realtà visibile accessibile all’intelligenza umana”.
In questa dichiarazione evidentemente non del tutto obiettiva visti i suoi legami con Turner, Ruskin più che sminuire le capacità di Constable, vuole ribadire soprattutto ad una critica sempre più incalzante, il significato dell’universalità dell’arte di Turner.
Turner nasce alla fine del Settecento. Il clima sociale, politico e intellettuale è in piena effervescenza. Ad un mutamento di vita corrisponde una sensibilità diversa, più tesa verso l’immaginazione. Essa porta alla riscoperta del mistero, delle forze oscure del mare come delle grandi montagne che romanticamente parlando, conducono a ricercare la vertigine sull’orlo di un precipizio.

Il paesaggio in Turner si presta a nuovi giochi compositivi, dove la luce e l’azione luminosa dell’artista crea il mito di una Natura in eterno movimento.
William Turner amava viaggiare per assaporare dal vivo le diverse atmosfere delle località, i colori mutanti a seconda delle ore e delle stagioni e delle circostanze. Visitò il suo paese, la Francia, la Svizzera, la Germania, l’Olanda, Praga, Vienna, Firenze, Torino, Napoli, Roma e Venezia da cui si fece incantare.
Venezia. La Laguna. Il riflesso del sole e del tramonto, degli edifici, delle pietre nell’acqua, il gioco delle ombre e degli specchi. Questa città lo affascinò e seppe smuovere la sua fantasia.
Per l’artista il colore divenne parte integrante della Natura e della percezione dei suoi effetti. E così comincia a stravolgere la tela e la Natura, a sfidare il senso comune con quegli abbaglianti esperimenti cromatici come nell’Incendio del Palazzo del Parlamento del 1835, o nel turbinio della Tempesta di neve del 1842 e soprattutto con il moderno veicolo di comunicazione in Pioggia, vapore e velocità del 1844, dove un treno avanza e sfugge alla realtà dei binari tra i bagliori della luce, ad anticipare alcuni dei movimenti cromatici del secondo Ottocento e del primo Novecento.
Patrizia Lazzarin