POEMI DELLA TERRA NERA

La “terra nera”, ricca e malleabile sotto la pioggia, quasi come argilla, appare in molteplici geografie, nelle opere dell’artista keniota e americana Wangechi Mutu, per la prima volta alla Galleria Borghese, nella residenza del Cardinal Scipione.  Da questa terra, le  sue sculture sembrano emergere, come modellate da una forza primordiale, dando vita a storie, miti, ricordi e poesie. La metafora sottolinea la forza generativa e trasformativa del suo lavoro: radicato nella materialità ma aperto a molteplici letture.

La rassegna che si apre oggi e sarà visibile fino al 14 settembre si intitola Poemi della terra nera e ha la curatela di Cloé Perrone. Il progetto, che si origina  anch’esso, come la mostra recentemente conclusa sul poeta barocco Giovan Battista Marino, dall’interesse del museo nei confronti della poesia, è concepito come un intervento site-specific che si sviluppa nelle sale interne del museo, sulla facciata e nei Giardini Segreti e  sfidando  la tradizione classica, attraversando sospensioni, forme frammentate e nuove mitologie immaginate, crea un dialogo multistrato tra il linguaggio contemporaneo dell’artista e l’autorità antica.

Il titolo Poemi della terra nera evoca il profondo significato della pratica duplice di Mutuintrecciata tra poesia e mitologie, ma profondamente ancorata ai contesti sociali e materiali contemporanei. La “terra nera”, appare in molteplici geografie, inclusi i Giardini Segreti della Galleria Borghese, che offrono un punto di risonanza con l’immaginario dell’artista.

 L’intervento di Wangechi Mutu introduce un vocabolario inedito nell’architettura storica e simbolica della Galleria Borghese. Attraverso la scultura, l’installazione e l’immagine in movimento, l’artista propone un approccio innovativo allo spazio museale, che sfida la gerarchia, la permanenza e il significato. Le sue opere interrogano il peso visivo e l’autorità della collezione, adottando strategie di sospensione, fluidità e frammentazione. In tal modo il museo non si presenta come un semplice contenitore statico di oggetti, ma come un organismo vivo, in continua trasformazione, plasmato dalla perdita, dall’adattamento e dalla riconfigurazione.

La mostra si articola in due sezioni complementari. All’interno del museo Mutu riconsidera radicalmente l’orientamento spaziale e le sue sculture non celano mai la collezione Borghese, ma si aggiungono lievi. Presenze eteree che si librano in aria, volano leggere, oppure sono poggiate su piani orizzontali. Opere come Ndege, Suspended Playtime, First Weeping Head e Second Weeping Head sfidano la logica gravitazionale, pendendo delicatamente dai soffitti e incorniciando nuove vedute. Questo atto di sospensione non è solo formale, ma suggerisce uno spostamento delle narrazioni storiche e delle gerarchie materiali. Il campo visivo del museo si ridisegna e nuove modalità di percezione si aprono al nostro sguardo.

I materiali – bronzo, legno, piume, terra, carta, acqua e cera – sono cruciali per l’etica della mostra. Il bronzo in particolare, si spoglia del suo significato più tradizionale per diventare veicolo di memoria ancestrale, di recupero e di molteplicità. Inserendo sostanze organiche, fluide, mutevoli in un contesto tradizionalmente dominato dal marmo, dallo stucco e dalle superfici dorate, l’artista ribadisce la poetica della trasformazione, del divenire, anticipando così un tema che sarà centrale nel programma espositivo del museo del 2026: le metamorfosi.

Poemi della terra nera ci invita a trascendere le prospettive fisse, spostando il nostro sguardo per consentire la coesistenza di più narrazioni e rivelando il museo non solo come uno spazio di memoria, ma come un luogo di immaginazione e trasformazione. Gli interventi di Wangechi Mutu spingono gli spettatori ad abitare il museo in modo diverso, a guardare non solo ciò che è esposto, ma anche ciò che è stato rimosso, messo a tacere o reso invisibile.

All’esterno, sulla facciata del museo e nei Giardini Segreti si dispiegano: The Seated I e The Seated IV, due moderne cariatidi realizzate per la facciata del Metropolitan Museum di New York nel 2019 nell’ambito della Facade Commission e che testimoniano un importante momento di confronto dell’artista con un’istituzione pubblica. Nyoka, Heads in a Basket, Musa e Water Woman reinterpretano i vasi archetipici come spazi di trasformazione.

Con The End of eating Everything, Mutu espande il proprio linguaggio artistico attraverso il video, aggiungendo una dimensione temporale e immersiva alla sua continua esplorazione del mito. Queste opere danno vita a nuove forme ibride, in parte umane, in parte mitologiche, in parte contenitori simbolici, attingendo alle tradizioni dell’Africa orientale e alle cosmologie globali, che sembrano emergere da un terreno simbolico.

Anche il suono, vero o suggerito, e la sua traccia giocano un ruolo sottile ma pervadente nella mostra: dal ritmo sospeso di Poems for my great Grandmother I al testo appoggiato di Grains of War, tratto dalla canzone War di Bob Marley ispirata ad una figura chiave dei movimenti anticoloniali, l’ultimo imperatore d’Etiopia Haile Selassie (1930-1974), il cui discorso del 1963 alle Nazioni Unite chiedeva la fine dell’ingiustizia razziale. Il linguaggio diventa scultoreo e il suono una forma di memoria.

 La mostra prosegue all’American Academy in Rome, dove è esposta Shavasana I. La figura in bronzo, sdraiata e coperta da una stuoia di paglia intrecciata, è intitolata alla posa yoga “shavasana” (posa del cadavere) e si ispira a un reale fatto di cronaca. La collocazione, nell’atrio dell’Accademia, alla presenza di iscrizioni funerarie romane, fa da cassa di risonanza al concetto di morte, abbandono e dignità del vivere.

Con questa esposizione, la Galleria Borghese continua il suo impegno nell’arte contemporanea, dopo le mostre Gesti Universali di Giuseppe Penone (2023) e Louise Bourgeois. L’inconscio della memoria (2024), proponendo un nuovo modo di vedere lo spazio, rinnovato di connessioni e prospettive attraverso la visione di un’importante artista internazionale.

 La mostra è resa possibile grazie al sostegno di FENDI, sponsor ufficiale dell’esposizione.

 Il programma di incontri che accompagna l’esposizione, dal titolo Esistere come donna, è organizzato da Electa con Fondazione Fondamenta e affronta i temi della mostra attraverso dialoghi e lezioni con partner istituzionali.

Patrizia Lazzarin