CYRANO DE BERGERAC: L’ENIGMA DELLA POESIA

La capacità fantastica di ricreare il sentimento e di far emergere le emozioni è prerogativa dell’azione teatrale che nel suo multiforme e veloce movimento e a volte meditativo soliloquio, allude al procedere intimo dell’essenza umana, ritmata al tempo di una  musica capace di armonia e di contrapposizioni. Magmatica come lava essa a volte, implode ed esplode. L’opera Cyrano de Bergerac del drammaturgo francese Edmond Rostand, con l’adattamento e la regia di Arturo Cirillo, in scena al teatro Verdi di Padova da ieri fino a domenica 12 maggio, con le sue scene ricche di brio, è un’elegia all’Amore. 

Il  protagonista è un Cyrano meno spadaccino e più poeta.  La poesia e l’amore sono gli elementi che caratterizzano questa interpretazione di  Cyrano che nasce sul filo della memoria. Il regista ha raccolto le sue suggestioni, sviluppatesi nel ricordo di un’interpretazione della stessa commedia ascoltata da ragazzino al Teatro Politeama di Napoli. Si trattava di uno spettacolo che aveva allora le musiche di Domenico Modugno e che aveva provocato la sua commozione per questo “bruttone”, come potremmo chiamarlo scherzosamente, con un naso talmente imponente che gli impediva di sentirsi bello per poter aspirare ad essere amato.

Questo soldato, il guascone  della storia di Rostand, ha perso ora ogni retorica e lo vediamo soprattutto mentre insegue il suo  sogno di innamorato. L’amore è il tema e il cuore  della Poesia capace di abbellire le persone, di renderle preferibili a quelle esteticamente attraenti. Una Poesia che diventa segno distintivo dell’uomo di valore, degno dunque di essere amato. Ancora una volta la definizione ci riporta alla concezione dell’Umanesimo dove scopriamo una nobiltà, di cui si era fatto interprete anche Dante, che non dipende da elementi al di fuori dell’uomo, ma va cercata al suo interno.

La storia raccontata sembra far credere possibile anche  l’amicizia fra rivali in amore,  mostra l’accettazione del rifiuto e l’impegno per la felicità dell’amato qualunque sia quella che ella o egli ha scelto. Una lezione che potrebbe essere ben meditata nella nostra confusa contemporaneità, dove gli uomini a volte reagiscono molto male  alla perdita o alla sconfitta.

Ma, un discorso speciale andrebbe, magari solo iniziato, sul significato del Teatro come luogo del divenire, della trasformazione, del gioco e dell’invenzione utile a spiegare la Vita. La Vita  prende a prestito il Teatro, ma le parti si possono scambiare. Allora esso insegna fornendo suggestioni complicate come foreste mai attraversate. Può diventare  il luogo della gioia, della malinconia e poi del lasciarsi andare ad intrecciare emozioni e ricordi e poi, tanto altro ancora. La drammaturgia  di Cirillo è un teatro canzone che  si appropria delle melodie  della Piaf e di Carpi.

Nella scelta musicale di  Federico Odling, Cyrano  è stato spogliato della precedente caratterizzazione ritmica degli anni ’70 per avvicinarlo al melodramma italiano. Per i costumi Gianluca Falaschi si è ispirato ai corpi da ballo del grande varietà che tanto lo avevano colpito quando era bambino. Rammenta quegli artisti che ballavano e che recitavano con grazia e che sono stati i padri degli artisti di questa compagnia. Per le  scenografie  Dario Gessati ha guardato  a Ginger e Fred di Federico Fellini, per ideare uno spazio che sapesse ispirare e raccontare il tormento amoroso di Cyrano de Bergerac.

Lo stesso regista interpretava Cyrano, l’attrice Irene Ciani era l’amata Rossana, Cristiano, l’amico rivale, l’altro guascone, era Giacomo Vigentini. E a seguire gli altri attori principali in scena: Francesco Petruzzelli, Rosario Giglio, Giulia Trippetta …

                                                                  Patrizia Lazzarin