Palazzo Roverella – Rovigo 17 settembre 2016 14 gennaio 2017
Passeggiando fra le opere d’arte esposte nell’esposizione I Nabis, Gauguin e la pittura d’avanguardia a Palazzo Roverella, il nostro animo riceve gradevoli impressioni. E se ogni dipinto è anche un documento che narra ciò che è accaduto nel passato, si intuisce in questi quadri la storia della gente semplice della terra di Bretagna. Gauguin e i Nabis, ossia i profeti in lingua ebraica, hanno mescolato sulle loro tele i colori e le atmosfere di questa lontana regione della Francia nordoccidentale e lo hanno fatto con una pittura essenziale. Sono soprattutto le donne bretoni con il caratteristico cappello bianco, di una luminosità accecante, a popolare questi luoghi ma, ci sono anche i bambini, gli uomini che nelle molte processioni religiose della regione, i pardons, sfilano nelle loro vesti colorate e ricamate.
Nel paesaggio di Bretagna battuto dai venti oceanici, separato dal mare da alte falesie e disseminato di megaliti un pittore cercava e trovava una natura incontaminata e valori che sembravano essere degli uomini che vivevano agli albori della società. E’ celebre il pensiero di Gauguin che si legge in una lettera all’amico e pittore Schuffenecker: «Amo la Bretagna: qui trovo il selvaggio e il primitivo. Quando i miei zoccoli risuonano su questo granito sento la tonalità attutita, opaca e potente che cerco in pittura». Nel suo peregrinare Gauguin approderà nelle Piccole Antille e nelle isole Marchesi. A Pont Aven in Bretagna invece Gauguin era giunto dopo essersi allontanato dalla mondanità di Parigi ma soprattutto dalla pittura post impressionista troppo cerebrale e proprio per questo incapace di cogliere quel sentimento e quella visione della natura che fuoriescono dal proprio mondo interiore. I colori che definiscono le immagini diventano così stesure che riflettono i paesaggi dell’animo. Questa era la lezione di pittura che Gauguin dava a Serusier mentre passeggiava e poi dipingeva il famoso Talismano. «Come vedete questi alberi? Gialli, quindi metteteci del giallo, il giallo più bello della vostra tavolozza. E quest’ombra? Decisamente blu, allora dipingetela con un colore oltremare puro. E queste foglie? Rosse, ebbene usate il vermiglio». Il pittore non deve dunque rappresentare ciò che vede, bensì ciò che sente. La trasformazione della lingua pittorica si traduce nel sintetismo e nasce da una nuova necessità dello spirito che diventa quasi prepotente.
La celebre opera La visione dopo il sermone di Gauguin e il dipinto, in mostra, Donne bretoni sulla spiaggia di Emile Bernard traducono in immagini questa poetica. I due pittori, Emile e Gauguin, riscoprono insieme quel segno cloisonnés che definisce, sbalzando la figura e i luoghi, e gli da assoluta emergenza. Non sono più così importanti la proporzione, le dimensioni mentre esercita il suo fascino l’arte giapponese. L’artista sembra muoversi verso una pittura quasi aniconica o astratta come nel dipinto Paesaggio di Le Pouldu di Charles Filiger. Fra gli autori di questa esposizione merita di essere segnalato l’artista svizzero Cuno Amiet. Nella sua opera Donna bretone il bianco della cuffia che compare anche nell’altro suo dipinto Il Bucato è espressione di questa ricerca di spiritualità. Il bianco indica luce, purezza. Il pittore ha una pennellata intrisa di luce e i suoi paesaggi e le figure godono di una vivacità e di un’armonia che incantano i nostri occhi.
Potremmo distinguere varie declinazioni della pittura dei Nabis, a volte più mistica come in Jan Verkade, altre più laica come in Felix Vallotton e Edouard Vuillard, altre volte essenziale da diventare quasi astratta come in Charles Filiger e altre infine decorativa come in Pierre Bonnard. In ognuna potremmo ritrovare un leit motivo che è dato dal rifiuto del naturalismo per una pittura simbolo di un sentire nuovo e più libero che nasce da una visione moderna e più profonda del sentirsi uomo.
Nel 1890 Maurice Denis, riconosciuto il teorico del gruppo dei Nabis, dà il proprio contributo scrivendo per la rivista Art et critique, con lo pseudonimo di Pierre Louis, il primo testo sul sintetismo, Définition du néo-traditionnisme. Inventa una formula fulminea ed efficace che presto tutti i giovani artisti conosceranno a memoria: Ricordarsi che un dipinto, prima di rappresentare un cavallo, una donna nuda o un aneddoto qualsiasi è essenzialmente una superficie piana ricoperta di colori assemblati in un certo ordine. La sua Bella al crepuscolo, in mostra, ci fa piombare letteralmente in un mondo onirico. Il nudo di schiena, proprio perché tale, sembra diventare quasi misterioso. In lontananza forse una città dove immaginiamo che la donna volga assorta, lo sguardo.
La mostra mette in luce varie figure di pittori italiani che hanno recepito la modernità del sintetismo. Il pennello del pittore trevigiano Gino Rossi nella sua opera Barene a Burano fa suoi gli insegnamenti ricevuti in quell’ambiente ricco di stimoli qual è Pont Aven, dove si era recato in precedenza. La scelta per Rossi di abitare a Burano o nei piccoli borghi delle colline di Treviso corrisponde alla stessa scelta che un pittore Nabis faceva fra Pont Aven e Parigi. i suoi soggetti erano i luoghi appartati e inconsueti o i pescatori che dipingeva con un segno che definiva i contorni in modo nitido. Anche qui i colori sono quelli di una visione interiore. Semplici ma al tempo stesso dense di un colore ricco di tonalità che ricreano il caleidoscopio delle emozioni sono le opere di un altro pittore veneto: Umberto Moggioli. Questa temperie culturale di matrice francese viene stemperata in vari pittori, alcuni già molto noti come Felice Casorati e Oscar Ghiglia o come nelle opere dello svizzero Marius Borgeaud, in una dimensione intimistica che privilegia gli interni domestici.
Luoghi segnati da una notevole semplificazione dove compaiono oggetti simbolici, anche con valore metonimico, ricchi di significati fra cui quello, in alcuni casi, di una critica forte alla società del presente. Lo spazio chiuso dove non circola addirittura l’aria, il nudo femminile sono elementi che ritroveremo in Cagnaccio di San Pietro nell’ambito della poetica del Realismo magico. Di Cagnaccio è esposta l’opera Primo denaro: un dipinto che è una pesante accusa rivolta al fenomeno della prostituzione. Anche in Cagnaccio di San Pietro tanti simboli celati nella materia di cui sono fatti gli elementi delle nature morte o in quel bianco, tanto bianco quasi accecante che abbaglia i nostri occhi.
Patrizia Lazzarin