Biennale 2019: Padiglione Brasile

Camminare a Venezia, lungo i sentieri dei Giardini della Biennale, visitando i padiglioni dei vari Paesi in occasione della 58 Esposizione Internazionale d’Arte ad ogni passo non può che colmare il visitatore curioso di rinnovato stupore. Lo stesso titolo della manifestazione May You Live In Interesting Times, curata da Ralph Rugoff e che rimarrà aperta fino al 24 novembre, ci invita a riflettere sulle caratteristiche e anche forse sulla straordinarietà del tempo in cui viviamo. Colpisce Swinguerra, la grande installazione video del Brasile creata per il film omonimo e inedito che ci immerge in un mondo con accentuati connotati di diversità, colorato a volte minaccioso e che vediamo nei due schermi che si contrappongono nel grande salone mentre proiettano l’opera in tempi diversi. Qui i personaggi sembrano emergere nella grandezza ed energia dei loro corpi muscolosi. Le immagini dei danzatori ma soprattutto delle danzatrici che si muovono quasi roteando in un ambiente spoglio sembrano restituire, sul teatro della vita, i combattenti sopravvissuti di un conflitto epocale: pochi vincitori di una battaglia di cui si sentono ancora i suoni. La musica si riallaccia, in un miscugliostraordinariamente esotico ai ritmi brasiliani, ma quei balli che hanno sempre affascinato l’immaginario collettivo per la loro sensualità, ora si rafforzano di un’energia che sembra ritrovare intatte le forze dei popoli ancestrali. Potremmo inserire nelle mani di quei giovani delle spade di samurai o archi e frecce ed ecco trasformare quelle ballerine e quei ballerini in guerrieri impegnati in una lotta di cui non conosciamo cause e motivazioni. L’installazione che è composta anche dei ritratti dei partecipanti al film, visibili nella sala che funge da atrio ai due video, è il frutto della collaborazione di Bàrbara Wagner & Benjamin de Burca. Il progetto si sviluppa grazie all’invito del curatore Gabriel Pèrrez Barreiro a cui era stato chiesto di rappresentare il Brasile nella più antica Biennale del mondo. La musica che ascoltiamo nasce nelle periferie di Recife, questa grande città brasiliana che si affaccia sull’Oceano Atlantico, considerata la Venezia dell’America Latina per i suoi innumerevoli ponti e fiumi. In questa metropoli i giovani hanno imparato a mescolare una serie di tradizioni musicali locali che recuperano i ritmi della quadriglia, della samba e del trio elettrico in un mix che prende il nome di Swingueira e hanno formato poi, gruppi da dieci fino a cinquanta persone con cui si esibiscono in competizioni annuali. Nella proiezione si possono vedere tre gruppi di danza nel momento delle prove che precedono le esibizioni annuali: uno che esegue coreografie di Swingueira, uno di Brega e uno di Batidào de Maloka. Il film che unisce le caratteristiche del documentario musicale alla fantasia sembra fare da cartina al tornasole a un momento particolare della cultura brasiliana contemporanea, dove emergono forti le tensioni politiche e sociali. Gli artisti del film, spiegano i curatori, sono persone che conosciamo da vicino e con cui collaboriamo nei disegni della sceneggiatura. Nella riprese davanti alla telecamera, si rappresentano a se stessi, perché è questo tipo di conoscenza trasportata da e nel corpo che vogliamo analizzare assieme a loro. Vi si può leggere in filigrana la vitalità di giovani che cercano spazi di espressione e nuovi significati del loro esistere, in un mondo difficile da comprendere. E forse appare essere la forza che si traduce in desiderio di potenza, la chiave per vivere. Al codice linguistico del Padiglione del Brasile fa da contrasto la dolcezza, quasi struggimento delle famiglie Inuit che vengono riprese e sentite nel loro trasferimento forzato. Il collettivo artistico Isuma che rappresenta il Canada alla Biennale Arte 2019, in occasione dell’Anno internazionale delle Lingue Indigene proclamato dalle Nazioni Unite e mentre in tutto il mondo milioni di persone sono costrette a fuggire dalle loro case, ha deciso di dare voce al punto di vista degli Inuit. Come in una moviola ritorniamo agli anni 60’ quando viene ordinato a questo popolo indigeno di andarsene. La vocee la mente degli abitanti dei villaggi non intendono le parole di chi li vuole allontanare preferendo agli agi la vita dura che hanno sempre vissuto. Facendo luce sulle conseguenze di quel trasferimento Isuma s’interroga e immagina un futuro diverso. Quali scenari domani? La Biennale visitabile ai Giardini ma anche all’Arsenale di Venezia e che vede la partecipazione di novanta paesi e settantanove artisti pone molti interrogativi a cui l’arte da sempre veggente sensibile indica alcune strade percorribili e non. Segnaliamo i due Leoni d’oro assegnati alla Lituania e all’artista Arthur Jafa. La giuria, composta anche dall’italiana Cristiana Collu ha giudicato l’opera lituana Sun & Sea degli artisti Lina Lapelyte, Vaiva Grainyte e Rugile Barzdziukaite una critica feroce, alla maniera del drammaturgo Bertolt Brecht, al modo di trascorrere il tempo libero. Dall’alto vediamo corpi impomatati di creme, in costumi dai colori abbaglianti che si muovono annoiati stiracchiando le membra. Una menzione speciale è stata attribuita al Belgio per l’installazione Mondo Cane di Jos de Gruyter & Harald This, dove l’uomo diventa parte di un museo folcloristico. Si vedono bambole automatizzate accostate a scene pastorali e sbarre d’acciaio che impediscono l’accesso alle nicchie laterali. Tutto sembra sospeso, tanta apparente normalità nasconde traumi non pienamente dichiarati tra storie vecchie e nuove che sembrano mostrare differenti sfumature di opinioni.
Patrizia Lazzarin