COME PREVEDERE LA PATOGENITÀ DELLE VARIANTI DI SARS-Cov-2

Uno studio recentemente pubblicato su Nature Communications Biology, condotto dal Cnr-Ibiom insieme all’Università di Bari e all’Università Statale di Milano, con il supporto della piattaforma bioinformatica e genomica di Elixir Italia, ha sviluppato una metodologia che consente di classificare tempestivamente le nuove varianti del virus di SARS-CoV -2 determinando anche un indice di patogenicità tale da permettere una risposta sanitaria immediata e personalizzata. Il sistema può essere utilizzato per eventuali nuove pandemie.

Un team dell’Istituto di biomembrane, bioenergetica e  biotecnologie  molecolari  del  Consiglio  nazionale  delle  ricerche  di  Bari  (Cnr-Ibiom),  dell’Università  degli  Studi  di  Bari  “Aldo  Moro”, dell’Università Statale di Milano, con il supporto della piattaforma di genomica e bioinformatica messa a disposizione dal nodo italiano dell’Infrastruttura di ricerca europea Elixir per le scienze della vita, ha messo a punto un sistema computazionale per l’identificazione delle varianti virali più  pericolose  per  la  salute  pubblica  mediante  una  analisi  comparativa  di  oltre  11  milioni  di  genomi virali campionati nel corso della pandemia

Lo  studio,  pubblicato  su Nature  Communications  Biology,  ha  preso  in  esame il  virus  della sindrome  respiratoria  acuta  grave  coronavirus  di  tipo  2 (SARS -CoV-2),  che    dall’inizio  della  pandemia  ha  subito  una  costante  evoluzione,  assumendo  le  forme  di  numerosissime  “varianti” classificate  in  funzione  della  loro  rilevanza  epidemica  e  sanitaria  come  VOC  (variant  of concern),  VOI  (variant  of  interest)  e  VUM  (variant  under  monitoring)  a  seconda  del  grado  di  infettività,  della  capacità  di  eludere  la  risposta  immunitaria e  della  severità  della  malattia  causata.

Per fronteggiare una crisi pandemica e minimizzarne l’impatto sociale e sanitario è cruciale la capacità di riconoscere immediatamente le varianti più pericolose (VOC): l’analisi retrospettiva presentata  in  questo  studio  dimostra  come  il  tempo  intercorso  tra  la  prima  osservazione  delle  varianti critiche (es. alfa, delta, omicron), pari anche a oltre due mesi, si sia rilevato troppo lungo per mettere in atto pratiche di contenimento adeguate”, spiega Graziano Pesole del Cnr-Ibiom e dell’Università  di  Bari.  “Attraverso  questo  nuovo  studio  è  stato  possibile,  mediante  un’analisi  comparativa di un gran numero di caratteristiche derivate dall’analisi dei genomi virali, elaborare un  indice  di  “pericolosità”  che  può  essere  calcolato  in  pochi  secondi  non  appena  la  nuova  variante viene osservata”.

Tale  metodologia  innovativa  permette,  così,  di  caratterizzare  nuove  varianti  non  appena  queste  cominciano  a  moltiplicarsi  nella  popolazione,  valutando  il  potenziale  impatto  patogeno ed epidemiologico di eventuali nuove pandemie con tempestività, e migliorando anche l’efficienza della risposta sanitaria.

Lo   studio   dimostra   l’importanza   della   sorveglianza   genomica   per   campionare   in   modo  omogeneo i genomi virali in diversi intervalli di tempo e a intervalli di tempo regolari”, conclude Pesole.

                                                               Patrizia Lazzarin