
È pensiero diffuso che il Patrimonio Mondiale sia rappresentato solo da siti che mostrano monumenti e rovine dei tempi antichi. Fanno parte di quel Patrimonio anche altre costruzioni e architetture, beni naturali, passaggi culturali e quelle “eredità culturali intangibili”, ancora presenti e vive, trasmesse da generazioni che sono divenute segni d’identità di comunità e gruppi sociali. Sono espressioni orali, arti dello spettacolo, pratiche sociali, riti e feste, artigianato tradizionale.
Anche luoghi e beni, quindi, che testimoniano tradizioni e culture dell’Uomo e del suo genio creativo, la sua interazione con l’ambiente e le sue costruzioni architettoniche, la Natura, i paesaggi, gli habitat di biodiversità.
La mostra “Patrimonio Mondiale: la Natura e le Impronte Umane”, ospitata al Museo delle Mura dal 29 settembre al 3 dicembre 2023, ne presenta alcune importanti testimonianze attraverso 51 immagini fotografiche di Michele Spadafora, suddivise in 7 aree tematiche: Civiltà scomparse, Natura e paesaggio, Disegno urbano, Architettura difensiva, Luoghi di culto, Tradizione e vita, Eredità del passato.
L’esposizione, ideata da Michele Spadafora, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.
Tra cittadelle fortificate, architetture urbane, centri storici e giardini, luoghi culturali e spirituali, monasteri, templi e chiese, castelli del deserto e piramidi a terrazze, deserti, savane e foreste, le foto ritraggono 39 siti Patrimonio Mondiale:
Ait-Ben-Haddou, El Jadida, Essaouira, Fez, Marrakesh, Meknes, Rabat e Volubis (Marocco), Alcobaça, Alto Douro, Batalha, Coimbra e Oporto (Portogallo), Amsterdam (Paesi Bassi), Anjar (Libano), Antigua, Quiriguá e Tikal (Guatemala), Baalbek e Ouadi Qadisha (Libano), Brugge (Belgio), Chiloé, Rapa Nui e Valparaíso (Cile), Haghpat, Sanahin Echmiatsin e Zvartnots (Armenia), Altopiani Centrali, Dambulla, Galle, Kandy, Polonnaruwa e Sigiriya (Sri Lanka), Lago Ovest e Suzhou (Cina), Ngorongoro e Serengeti (Tanzania), Quseir Amra , Wadi Rum e Petra (Giordania).
Si aggiungono all’esposizione le immagini relative a 3 elementi compresi nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco, indagati dall’obiettivo di Michele Spadafora.
Tra questi, il Fado portoghese, il canto popolare triste e nostalgico dell’animo portoghese eseguito da una voce che dialoga con una o due chitarre, accompagnate a volte da una o due viole. Nato nel quartiere di Alfama, a Lisbona, alla fine delle guerre napoleoniche, il Fado (da “fatum”), oggi si canta nelle taverne e case di fado della parte antica della città: un uomo o una donna cantano di amori di miserie e di morti, di dolore e disperazione, di destino cupo e ineluttabile.
E ancora, la piazza Jemaa el-Fna, simbolo di Marrakesh e della tradizione popolare del Marocco, posta all’ingresso della Medina e punto d’incontro di giorno e di notte, gremita di venditori e bancarelle, suonatori e cantastorie, danzatori e guaritori, predicatori ed indovini, portatori d’acqua e incantatori di serpenti.
E infine l’Armenia con la sua “croce di pietra” o Khachkar, una stele commemorativa in pietra che racchiude una croce finemente scolpita poggiata sul simbolo del sole (o della ruota eterna), ornata con rosette, intrecci e motivi vegetali (raramente figure divine o di santi), rappresentazione dell’albero perenne della vita. Una volta eretta viene benedetta ed unta, e diviene segno religioso.
Patrizia Lazzarin