Dal Brasile a Parigi, dai colori all’audacia: l’epopea modernista di Tarsila do Amaral, in mostra al Museo del Lussemburgo a Parigi fino al 2 febbraio 2025.
Nata nel 1886 in una ricca famiglia di produttori di caffè a San Paolo, Tarsila do Amaral crebbe circondata da cultura e raffinatezza. Nell’ambiente privilegiato della fazenda di famiglia, scopre il pianoforte, la letteratura e impara il francese. Sposatasi a vent’anni come era tradizione, divorziò e si liberò dai suoi legami nel 1913 per inseguire la sua passione: l’arte. Tarsila prese prima lezioni di modellazione e pittura da noti artisti accademici a San Paolo, poi, all’alba degli anni ’20, l’artista fu “capace di sognare” e volò a Parigi, la capitale delle avanguardie.
Arrivata nella capitale francese nel 1920, Tarsila si iscrisse all’Académie Julian, l’unica accademia che allora accettava donne e stranieri. Conosce l’Impressionismo, dipinge modelli dal vivo e trova i suoi primi riferimenti artistici in tele ancora classiche, intrise di morbidezza e realismo. Fu solo all’Accademia Emile Bernard che iniziò a lavorare con un pennello più morbido e colori meno terrosi. La pittrice brasiliana incomincia in quel momento a trovare la forma che vuole dare alla sua pittura.
Ma fu solo nel 1923, durante il suo secondo soggiorno a Parigi, che Tarsila perfezionò il suo stile. Entrò prima nell’atelier di André Lhote, poi in quello di Gleizes e Léger, dove il cubismo divenne il fulcro del suo apprendimento. Attraverso Blaise Cendrars, venne introdotta nella cerchia degli intellettuali parigini, stringendo amicizia, tra gli altri, con Constantin Brancusi, Jean Cocteau e Érik Satie che la influenzarono profondamente. Tarsila adotta forme geometriche e nuove prospettive. Le sue opere prendono una svolta cubista, combinando composizione libera e semplicità delle linee.
Fu durante questo periodo che dipinse quadri sorprendenti come “A Caipirinha”, che porta il segno di questo modernismo europeo strutturato, ma anche della sua immaginazione.
Iniziato nella primavera del 1923, questo dipinto rappresenta per Tarsila uno dei primi tentativi di affrancarsi dai codici della figurazione accademica attraverso linguaggi d’avanguardia. In una lettera ai suoi genitori, descrive questo dipinto come un modo di rappresentare sè stessa come una giovane ragazza della campagna brasiliana (una piccola “caipira”) che gioca con i rami del giardino come faceva da bambina. Questa identificazione con la cultura popolare delle regioni rurali, da parte di una donna dell’alta borghesia molto colta, annuncia l’idealizzazione di un’appartenenza nazionale che va volontariamente oltre le divisioni culturali e sociali brasiliane.
Durante tutto questo tempo, Tarsila do Amaral è rimasta in contatto permanente con il Brasile e ha deciso di tornarvi subito dopo la Settimana dell’Arte Moderna a San Paolo, dove molti dei suoi amici artisti stavano già facendo scalpore con la loro nuova visione dell’arte. Essi desideravano rompere radicalmente con l’arte attuale che considerano conservatrice e vogliono mettere in pratica le novità apprese nel vecchio continente. Tarsila si unisce alla pittrice Anita Malfatti e agli scrittori Mario & Oswald de Andrade e Menotti del Picchia. Insieme fondarono il “Grupo de Cinco”, correndo per le strade di San Paolo, a bordo di una Cadillac, alla conquista del mondo per rinnovarlo. Tarsila do Amaral, in Brasile come in Europa, inizia a trovare il suo posto come artista agli inizi di questa era modernista.
Patrizia Lazzarin