
Il “racconto” di Moby Dick è la lavagna magnetica dove si legge il patrimonio di idee di un artista originale che ha scelto come medium per esprimersi la cancellazione. Sembra un paradosso il leit motiv da cui nasce l’arte di Emilio Isgrò, pittore, poeta, ma anche romanziere, drammaturgo e regista in mostra alla Fondazione Cini con un’antologica delle sue opere che vanno dagli anni Sessanta ad oggi e che rimarrà aperta fino al 24 novembre. Libri, volumi, codici, carte geografiche, chiazze di colore rosso, giallo, verde, mappamondi con poche parole perché il resto èstato tutto cancellato o coperto. Secoli di saperi rivisitati con una mente ed un’arte nuova. Perché? Da dove inizia, forse dentro la pancia della balena, metafora di altri spazi, e dove ci conduce questo viaggio? Grazie al progetto del critico d’arte Germano Celant, che ha curato anche il catalogo, le sale dell’Ala Napoleonica della Fondazione Cini a Venezia sono state dotate per lamostra di Emilio Isgrò, di alte pareti diagonali e trasversali dove sono state appese le opere dell’artista. Ognuna di esse provoca un vorticare dei nostri neuroni diventando punto di partenza per una nuova avventura della mente. Osserviamo una delle creazioni che incontriamo all’inizio della prima sala: Weltanschauung: una monumentale carta geografica dove non si leggono più i nomi di città, regioni e nazioni. Sicuramente mentre rimaniamo stupiti ci poniamo degli interrogativi. Nell’enciclopedia della Treccani, che è anche la casa editrice che cura il catalogo della mostra, leggiamo una definizione del termine Weltanschauung: concezione della vita, modo in cui singoli individui o gruppi sociali considerano l’esistenza e i fini del mondo, e la posizione dell’uomo in esso. Proviamo a riflettere: a quale idea del mondo si avvicina questa carta geografica? Tranne le didascalie non troviamo, se escludiamo l’ingresso della mostra, pannelli illustrativi delle opere e allora dobbiamo sforzarsi a ricostruire i significati di oggetti e di libri noti a cui sono state cancellate la maggior parte delle parole che li identificano. Le opere di Emilio Isgrò diventano un punto di partenza per un pensiero diverso …, per una rivisitazione del nostro sapere e per una concezione non dogmatica ma critica di quanto conosciamo da tempo. E’ una sfida a pensare di più, a rifuggire gli automatismi psichici e certamente per noi individui, in prossimità del 2020, impegnati a lavorare su piattaforme digitali buona parte della nostra giornata è un suggerimento per riconsiderare il concetto stesso di Umanità.

Isgrò, nato a Barcellona di Sicilia, è uno dei nomi più noti a livello internazionale. Il suo linguaggio estremamente curioso ha segnato le tappe della seconde Avanguardie degli anni Sessanta. Accanto alle numerose partecipazioni alle Biennali di Venezia dagli anni Settanta agli anni Novanta, si può citare il primo premio ottenuto nel 1977 alla Biennale di San Paolo. Le sue sono creazioni che già nei loro titoli diventano un manifesto di poetica e/o di critica a volte ironica della nostra contemporaneità. Isgro nel 2011 costruisce per l’Università Luigi Bocconi l’opera Cancellazione del debito pubblico, un consiglio pregnante per le nuove matricole e laureandi in Economia in un istituto universitario che è stato il primo in Italia ad offrire la possibilità di laurearsi in questo indirizzo. Il Cristo Cancellatore del 1969 appartiene insieme ad altre opere alla collezione permanente del Centre George Pompidou di Parigi. E ancora il nome di un’altra sua creazione artistica famosa Fondamenta per un’arte civile alla Triennale di Milano nel 2017, in cui la parola Fondamenta ci riporta anche a Venezia che vive da due millenni in un magico equilibrio fra acqua e terra e indica armonia che vuole essere anche suggerimento delicato di una pace sociale per lo sviluppo delle arti. Ecco poi quei nomi sulle chiazze di colore rosso: Rosa Luxemburg, Fidel Castro, Che Guevara, Engel, Marx, ognuno di essi impegnati in azioni sul colore, tranne forse Che Guevara che sembra subire l’azione di cadere. Luoghi ma soprattutto persone che hanno segnato intere epoche. Pensiamo al mito di Che Guevara, l’eroe boliviano che è entratonell’immaginario occidentale. Un Occidente e in particolare l’Italia che negli anni Sessanta e Settanta si prodigano nel creare un ponte di solidarietà verso le popolazioni dell’America Latina. E poi le negazioni: Non sono Giotto, Non sono San Giorgio che uccide il drago, quel drago che si legge a malapena perché in parte nascosto dalla righe che lo cancellano. Alla fine del percorso espositivo compare una grande vela che sembra veleggiare verso nuovi lidi che non sono quelli romantici dell’isola di Citera del pittore francese Antoine Watteau, ma sono ricchi di una nuova luce di conoscenza. Poche parole in greco sembrano fornire la soluzione dell’enigma di questa tela intitolata DNA. Su essa è scritto il primo verso del poema di Omero: l’Odissea che è anche un invito all’oracolo dentro di noi e dice: parlami Musa dell’uomo. I vocaboli di Isgrò sono idiomi differenti: greco, inglese … Le parole sono chiavi. Forse nella loro etimologia, nella storia della loro origine un’opportunità per interrogarci sul significato delle tradizioni del mondo in cui viviamo. Da segnalare nell’elaborazione del progetto scientifico e per la collaborazione l’Archivio Emilio Isgrò.
Patrizia Lazzarin