JAGO COME MICHELANGELO ED È GIÀ UNA ROCK STAR

The First Baby

L’immagine della Venere di Jago, pseudonimo di Jacopo Cardillo, lo scultore  italiano che ha tratto il suo nome d’arte dalla cruda tragedia shakespeariana di Otello, ci riporta alla fragilità, simile a quella di un bicchiere di cristallo, dell’essere umano. Ci confrontiamo con una figura androgina, senza capelli, con gli arti inferiori ingrossati come ad una persona a cui difetta una buona circolazione, le vene che emergono sulle tozze mani come canali, i seni nudi protetti dalle braccia ed un tappeto di rughe che disegnano sul corpo e, soprattutto sul viso, la mappa di una vita ed i suoi racconti più faticosi. La scultura ci fa scordare subito, in maniera repentina, la bellezza a cui si associa normalmente il  nome di Venere. Cosa vuole narrare Jago che recupera il gusto dell’arte antica e rinascimentale per farne veicolo  di riflessioni sul valore dell’essere umano? Pezzi o meglio cubi di argilla e di marmo servono come sostegno a questa diversa Venere che si trasforma in Natura, costruita di pelle, arterie, cuore e soprattutto di sentimenti come quelli che nascono  dall’osservazione delle opere dell’artista.

Le sue sculture  possiedono  un linguaggio capace di superare l’effimero e la staticità per comunicare con immediatezza ed efficacia, riuscendo ad arrivare  sino  ai giovani. Palazzo Bonaparte, nel centro di Roma, ospita da oggi, 12 marzo fino al 3 luglio un’esposizione a lui dedicata, curata da Maria Teresa Benedetti  e con  documentazione storico-critica di Vittorio Sgarbi. La mostra intitolata JAGO. The Exhibition è prodotta ed organizzata da Arthemisia con la collaborazione di Jago Art Studi. Se si andassero a cercare le possibili ispirazioni della Venere di Jago, come dicevamo, simile ad un’anziana donna, vedremo che non potremmo paragonarla ad una delle tante copie romane della Vecchia ubriaca di Mirone di Tebe o alla nota Vecchia di Giorgione, ma essa possiede l’intensità di espressione che la avvicina all’opera con lo stesso nome dello scultore croato del 900’ Ivan Meštrović e  al Nudo di vecchia contadina di Maria Elisa Boglino, artista di origini danesi che trascorse la sua vita in Italia, tra Palermo e Roma. La fragilità della carne è la stessa, ma non ci impaurisce. Dentro quella materia pulsa la vita. Le forme si modificano, ma l’umanità resiste e si rivela nella sua tenacia e al tempo stesso nella sua morbidezza.

Habemus Hominem

  Jago, pur giovanissimo. è già un artista di successo. Nel 2009 a 24 anni, su suggerimento  di Maria Teresa Benedetti era stato selezionato da Vittorio Sgarbi per partecipare alla cinquantaquattresima edizione della Biennale di Venezia dove aveva esposto  il busto in marmo di Papa Benedetto XVI che gli valse il premio delle Accademie Pontificie, consegnatogli nel 2010 dal cardinale Ravasi.  Dopo il 2016, anno della sua prima mostra personale a Roma, ha vissuto e lavorato in Italia, Cina ed America. È stato professore ospite alla New York Academy of Art, dove ha tenuto nel 2018  una master class e diverse lezioni. Ha ricevuto  numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali tra cui nel 2013 il premio Gala de l’Art di Monte Carlo, il premio Pio Catel nel 2015, il Premio del pubblico Arte Fiera nel 2017 e nello stesso anno  l’investitura come Mastro della Pietra al MarmoMacc. Egli ama scavare,  dentro il mondo e dentro le cose, come quando recupera i sassi del fiume per ritrovarci al loro interno  nuove immagini. Cosi si racconta “mi considero un uomo e uno scultore del mio tempo. Utilizzo il marmo come materiale nobile legato alla tradizione, ma tratto temi fondamentali dell’epoca in cui vivo. Il legame col mondo è fortissimo. Guardo a ciò che mi circonda, gli do forma e lo condivido.” Excalibur, nome che ci riporta alle  storie medievali di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, è il sasso che contiene il kalašnikov: un’arma, strumento di violenza. Dove inizia e finisce l’ideale cavalleresco e dove comincia o cessa l’aggressione: uno slittamento di piani e di valori che suggerisce, non senza ironia, più risposte possibili.  E poi “è simbolica”, come scrive la curatrice, “la nudità del pontefice in Habemus Hominem, sigillo di un gesto di radicale spoliazione. Il corpo di Papa Benedetto XVI risulta denudato, il volto sorride con inedita dolcezza, il busto emaciato fa emergere l’umanità creaturale di chi è tornato a essere uomo. Occhi nuovi hanno sostituito le antiche orbite cave, testimoniando la sicurezza in un destino salvifico. Una metamorfosi dolorosa, ma necessaria è consegnata anche alle scorie racchiuse in una teca accanto al busto.” Pietà e il Figlio Velato sono altri volti, ma soprattutto il dolore dell’uomo moderno che sentiamo accanto a noi, ancora oggi, dentro le  guerre che insanguinano i nostri continenti, lasciandoci soli e inermi. The First Baby è un piccolo feto scolpito nel marmo affidato alle cure dell’astronauta Luca Parmitano e  portato nello spazio nel 2019. Tornato sulla Terra l’anno successivo esso proietta  l’uomo verso  la grandezza  e l’infinito dell’Universo. E vorremmo pensare verso il Futuro.

                                                                                           Patrizia Lazzarin