NUOVE PROSPETTIVE

Sviluppato un sensore in fibra che potrebbe facilitare la diagnosi della patologia e l’individuazione delle terapie più appropriate a partire dalla rilevazione della presenza di tireoglobulina nel liquido di lavaggio dell’agoaspirato.
l risultati, ottenuti grazie alla collaborazione tra Cnr, Università del Sannio e Università di Napoli Federico II, sono pubblicati sulla rivista Biosensors and Bioelectronics.
Il dispositivo, descritto in un articolo pubblicato sulla rivista Biosensors and Bioelectronics, riesce a identificare e misurare la presenza di una particolare proteina, la tireoglobulina, nel liquido di lavaggio dell’agoaspirato. La valutazione della presenza di tale proteina nel liquido di lavaggio di agoaspirati ottenuti da linfonodi “sospettati” di metastasi è a oggi uno dei metodi che permette con certezza la diagnosi di estensione extratiroidea del tessuto tumorale. Pertanto l’esito di questo esame è particolarmente importante sia nell’approccio chirurgico iniziale, sia per il successivo follow-up dei pazienti.
La tireoglobulina è infatti una proteina presente, in condizioni normali, esclusivamente nella tiroide. La sua identificazione nei linfonodi è, invece, indicativa della presenza di metastasi. Oggi la localizzazione di tale proteina richiede l’impiego di sofisticati metodi di dosaggio basati su apparecchiature che sfruttano specifici anticorpi, con tempi di rilevazione non immediati e non facilmente applicabili in sala operatoria in caso di dubbi diagnostici.
Per questo motivo, è spesso il chirurgo a dover valutare, in base alla propria esperienza, l’estensione dell’intervento da effettuare senza potersi avvalere di alcun supporto strumentale. La novità ottenuta dal gruppo di ricerca consiste nell’aver sviluppato un nuovo sensore in fibra, basato sull’analisi della luce diffusa, che permette l’identificazione, in tempo reale e con elevata sensibilità, della tireoglobulina nel liquido di lavaggio dell’agoaspirato dei linfonodi tiroidei.
“Consentire il rilevamento sensibile e selettivo della tireoglobulina umana nel fluido di lavaggio dell’ago aspirato immediatamente prima dell’intervento chirurgico, o direttamente in sala operatoria, sarebbe della massima importanza per ottimizzare e personalizzare i trattamenti dei pazienti con una procedura minimamente invasiva e senza ulteriori rischi”, spiega Paolo Macchia del Dipartimento di medicina clinica e chirurgia della Federico II di Napoli.
Il biosensore sviluppato sfrutta la diffusione di radiazione laser e consente l’identificazione della tireoglobulina grazie all’analisi del colore della luce che essa riflette (diffusione Raman). Il risultato è di particolare rilievo anche perché la proteina da identificare è presente in quantità minime nel campione, insieme a tante altre molecole e sostanze che potrebbero mascherarne la presenza.
“La diffusione Raman ha un potenziale enorme nella realizzazione di sensori in campo biologico e potrebbe avere applicazioni di grande utilità diagnostica, in quanto la luce diffusa da un oggetto porta con sé una ‘firma’ unica della composizione molecolare e della struttura del materiale stesso”, aggiunge Anna Chiara De Luca, coordinatrice del Laboratorio di biofotonica presso Cnr-Ieos, tra gli ideatori dello studio.
“Ma i segnali Raman sono così deboli che il loro uso è stato finora molto limitato al di fuori della ricerca: per amplificarli, abbiamo combinato tale tecnica con l’impiego di materiali metallici nanostrutturati che fungono da amplificatori di segnale, in modo da rivelare anche poche molecole”.
Se i risultati saranno validati in studi preclinici e clinici, il biosensore potrebbe essere utilizzato per lo screening, la diagnosi, la selezione della terapia e il monitoraggio della progressione del cancro della tiroide e delle eventuali recidive. Inoltre in futuro la tecnica potrebbe essere estesa all’identificazione di metastasi anche da altri tipi di tumori.
Patrizia Lazzarin