La frase ogni buon narratore è anche un antropologo è un aforisma del famoso critico letterario Daniele Del Giudice ed essa sembra ben adattarsi al romanzo Il Duca dello scrittore veneto Matteo Melchiorre. La parola antropologia che deriva da ἄνθρωπος, ànthropos «uomo» e λόγος, lògos «discorso, nel libro può essere intesa come strumento per svelare l’essere umano nelle sue qualità perché egli che sia grande, piccolo, potente o fragile si faccia intendere. La voce narrante appartiene al Duca, l’ultimo discendente della casata dei Cimamonte che da secoli ha governato Vallorgàna, questo paese che esiste per noi solo nella fantasia. Tuttavia le parole di ogni “protagonista” della storia sembrano vivere di una propria identità, di avere il colore che solo appartiene a chi le ha pronunciate e pensate. Questo palpito umano che restituisce ai personaggi uno spessore a volte straordinariamente delicato, altre coriaceo è l’attore principale che lega presente e passato.
E questo legame lo riusciamo a sentire anche noi lettori. Forse per questo ho pensato che anche se il libro è stato pubblicato nel 2022 sarebbe bello parlarne ancora più volte. Questo romanzo fa riflettere. Proprio riferendosi al palpito umano o a un qualcosa di vitale che sembra superare la morte e i millenni si possono leggere le pagine sui graffiti della cappella di villa Vallorgàna, ma soprattutto quelle sulle scritte alpestri sulla Montagna.
Dice il Duca occupandosi dei confini dibattuti delle sue terre: “Non voglio tacere il fatto che quelle scritte alpestri mi allargarono le ali del cuore. Mi chinai a ripulirle con un sasso aguzzo, pensando nel frattempo a quale mano antica, e sotto gli occhi di chissà quale perito o giurato, avesse inciso quella data, quella sigla e quel confine: CIM 1649. Rimasi genuflesso a guardare quella scritta con l’interiore eccitazione che viene a strabiliarmi ogniqualvolta … scopro di trovarmi nel medesimo e preciso luogo in cui si è trovato qualcun altro secoli prima, come se l’ombra di quel qualcuno fosse un vapore non del tutto esalato e fosse perciò, a suo modo una presenza tangibile. Cadiamo dentro una dimensione d’incanto che forse anche noi abbiamo provato davanti a tracce del passato capaci di farci scoprire qualcosa di più di uomini, come noi, vissuti secoli fa.
Il Duca, quasi emulando lo scrittore Matteo Melchiorre che è uno studioso di Storia, passa molto tempo sugli archivi storici della propria famiglia con il desiderio di ricostruire ed approfondire quel lontano passato che diventa anche una lente per capire il mondo che gli sta intorno. Nel racconto si svela la sottile ironia dell’autore attraverso le parole e le azioni del Duca e la Storia diventa l’occasione anche per considerare i caratteri degli uomini. Maschere della discordia è il titolo di un capitolo del romanzo che si snoda come un fiume lungo circa 450 pagine e forse un po’ richiama l’idea della maschera pirandelliana, quell’idea di identità che ognuno adotta o si trova ad indossare nella società.
I personaggi di questa valle montana in mezzo ai boschi, isolata dal mondo possiedono allo stesso tempo una loro autenticità, fanno trasparire i loro sentimenti buoni e cattivi e si definiscono nelle loro fisionomie con una energia che li lega alla terra dura a causa delle difficoltà nel passato di sopravvivenza. Quella terra rappresenta tuttavia una Natura che ci affascina e che si estrinseca nel volo e nelle svariate mosse imprevedibili degli uccelli come le cornacchie, nel bosco che inghiotte i prati, in una Montagna che nelle sue forme assomiglia alla schiena di un enorme Drago e … Lo scrittore ci fa amare quella Montagna perché egli sa cogliere il respiro dei luoghi abitati da rocce, pietraie, prati virgulti, abeti, carpini, … case un tempo occupate e ora diroccate che sono rimaste li accanto a testimoniare la bellezza e al tempo stesso l’asprezza dei luoghi.
Parole come l’alfabeto del silenzio che ho incontrato nel libro aprono squarci di pensiero dove andare a ritrovare significati. Spesso infatti nella vita quotidiana le parole non sembrano più assomigliare alle cose e ai fatti citati, e questo alfabeto del silenzio può anche, estrapolandolo dal suo contesto, essere usato come frase il cui incanto diventa chiave per comprendere altro, altre verità possibili. Forse anche lo stupore delle parole e delle atmosfere di cui il libro è ricco può regalarci nuovi strumenti per osservare il mondo. La bontà del conoscere, scoprire … sembra matassa da dipanare …
Patrizia Lazzarin