Il nome di Ugo Mulas, il fotografo di cui si inaugura la mostra, domani 10 ottobre, a Milano è legato ad alcuni dei ritratti più iconici di un’intera generazione di pittori e scultori, da Duchamp a Lucio Fontana, da Alexander Calder ai celebri esponenti della Pop art americana. Mulas all’inizio della sua carriera, dopo aver lasciato gli studi di giurisprudenza, opta per la macchina fotografica facendo focus sulla città di Milano. Il suo nome e la sua opera sono legati anche alla città di Venezia, luogo che ritrarrà in più occasioni. Viene ricordato poi per i suoi reportage sulla Germania del secondo dopoguerra, per le sue collaborazioni con il mondo del teatro, in particolare l’amicizia con Giorgio Strehler e con gli esponenti del mondo letterario, come ad esempio il grande poeta Eugenio Montale. La moda, l’industria furono altri dei suoi tanti interessi, espressione anch’essi della sua voglia e desiderio di osservare il mondo, di mostrarne la sua visione profonda, dove il tempo di osservazione prima dello scatto offre la misura del suo sguardo e del suo pensiero.
Le sue immagini del bar Jamaica che negli anni Cinquanta aveva come suoi avventori Valerio Adami, Alik Cavaliere, Cesare Peverelli, Emilio Tadini, Luciano Bianciardi, Ennio Morlotti e Bruno Cassinari, ci restituiscono vivi gli sguardi e le espressioni, il sentire quasi di una città che, finita la guerra, riacquista la piacevolezza o ancor meglio, la semplice naturalezza del vivere.
Marsilio Arte e la città di Milano, in occasione di questa grande retrospettiva che porta il titolo “Ugo Mulas. L’operazione fotografica”, hanno scelto inoltre di presentare l’iniziativa diffusa “Ugo Mulas in città, per raccontare le istituzioni e i luoghi particolarmente significativi per il lavoro del fotografo, mostrando il legame speciale che lo univa alla città. Pinacoteca di Brera, Palazzo Citterio, Museo del Novecento, Palazzo Morando| Costume Moda Immagine, Museo Poldi Pezzoli e Fondazione Marconi, esporranno, a partire dal 10 ottobre, alcune opere di Ugo Mulas, intimamente connesse alla loro sede e alla loro storia. Basti pensare solo al ritratto di Joan Mirò scattato accanto al celebre Ritratto di giovane donna del Pollaiolo, in una sala del Poldi Pezzoli nel 1963 o ai ritratti di artisti le cui opere sono oggi conservate al Museo del Novecento o alle fotografie della città e dei suoi quartieri …
Cominciando dalle parole di Mulas: “Lavorando sul rapporto tra la struttura della città e le cose e le persone ho pensato a un lavoro che ho da tempo in animo di fare: è un lavoro sulla città dove vivo, su Milano […]. La mia idea non è quella di un libro, ma di un archivio, un archivio fotografico della città di Milano”.
Nella diatriba che ha visto dal comparire dell’invenzione della fotografia anche i suoi detrattori, e rammentando le memorabili discussioni dei secoli scorsi sull’uso legittimo della macchina fotografica da parte dell’artista, Mulas si ferma, quasi fine carriera a ragionare “sull’azione fotografica”.
Le sue Verifiche che per la prima volta potremmo conoscere in questa mostra a Palazzo Reale, inaugurano una nuova consapevolezza sul fare fotografia consolidando lo stesso statuto d’arte di questa disciplina.
La rassegna “Ugo Mulas, L’operazione Fotografica” è stata promossa da Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Marsilio Arte in collaborazione con l’Archivio Ugo Mulas, con il sostegno di Deloitte e il patrocinio di Fondazione Deloitte. Essa ha la curatela di Denis Curti, Direttore de Le Stanze della Fotografia a Venezia e di Alberto Salvadori, Direttore dell’Archivio Ugo Mulas.
300 immagini, di cui molte mai esposte prima d’ora, preziosi scatti vintage, documenti, libri e filmati, ripercorrono l’intera produzione di Ugo Mulas.
L’esposizione a Palazzo Reale fa focus sulla sua attività di pensiero. “Ugo Mulas. L’operazione fotografica”. Il titolo esemplifica correttamente il senso dell’opera di Mulas.
Egli scriveva:
Nel 1970 ho cominciato a fare delle foto che hanno per tema la fotografia stessa, una specie di analisi dell’operazione fotografica per individuarne gli elementi costitutivi e il loro valore in sé. Per esempio, che cosa è la superficie sensibile? Che cosa significa usare il teleobiettivo o un grandangolo? Perché un certo formato? Perché ingrandire? Che legame corre tra una foto e la sua didascalia? ecc.
Mulas, da autodidatta, si interroga dopo vent’anni di pratica su temi che sono argomento dei manuali di chi incomincia questo mestiere e lo fa per comprendere il senso delle operazioni che aveva ripetuto centinaia di volte in un giorno. Chiama questo Verifiche.
La prima di queste foto o Verifiche è quella che ho dedicato a Niépce. Del quale ci rimane una sola sbiadita immagine, una foto fatta dalla finestra della sua casa a Le Gras. Sono passati da quel giorno circa centocinquanta anni, ma quel tempo, per un fotografo, è già mitico ..
Un tempo mitologico che si brucia nel giro di pochi anni, e con esso il sogno di aver trovato finalmente il modo di sganciare la mano inesatta o tendenziosa dell’operazione creativa. …
La fotografia non diede all’uomo la certezza di rappresentare fedelmente se stesso e il mondo, come forse sognavano Niépce e Fox Talbot, ma finì in parte col favorire una élite, quella dei pittori, che scaricarono sui fotografi le operazioni servili, o quasi, che fino a quel punto rappresentavano uno degli aspetti più costanti, ma più frustranti, del loro mestiere. …
Oggi la fotografia con i suoi derivati, televisione e cinema, è dappertutto in ogni momento. Gli occhi, questo magico punto di incontro fra noi e il mondo, non si trovano più a fare i conti con questo mondo, con la realtà, con la natura: vediamo sempre più con gli occhi degli altri.
Mulas si rammarica quindi che di queste migliaia di occhi, pochi, pochissimi, seguano un’operazione mentale autonoma, una propria ricerca, una propria visione.
Anche inconsapevolmente, le migliaia di occhi sono collegate a pochi cervelli, a precisi interessi, a un solo potere. Così, inconsapevolmente, anche i nostri occhi, anziché trasmetterci informazioni genuine, magari povere, scarne, ma autentiche, ci investono con infinite informazioni visive, doppiamente stordenti, perché spesso la loro falsità si cela sotto una sorta di splendore.
Mulas smette ad un certo momento di vestire i panni del fotografo dell’arte e degli artisti per rivelarsi un narratore del mondo come hanno scritto anche coloro che lo hanno conosciuto.
Uliano Lucas, fotoreporter della realtà sociale, racconta:
«Ugo Mulas arriva dalla poesia. Era uno che sapeva bene che cos’è la composizione, la forza della comunicazione. Nei primi tempi a Milano per guadagnarsi da vivere lavorava in una piccola agenzia fotografica, aperta in quegli anni da Costantino Della Casa, dove però non fotografava, si occupava di scrivere le didascalie. Poi, scoraggiato dopo aver lasciato quel lavoro, incontra Mario Dondero e con lui impara i primi rudimenti di fotografia. Insomma, Ugo è un vero e proprio autodidatta, ma un autodidatta colto, dalla mente analitica, destinato a diventare un fotografo totale, capace di superare i generi stabiliti dal mercato. È un fotografo che dal giornalismo passa con abilità al mondo dell’arte e dell’industria culturale. Siamo in pieno boom economico, con un mondo dell’arte, della moda, del design in espansione febbrile che ha bisogno di fotografi capaci. Mulas è stato un interprete geniale di quel mondo e di quella stagione.
«Ciò che conta», dice Mulas «non è tanto immortalare l’attimo privilegiato, bensì trovare una propria realtà e, una volta circoscritta, le immagini creano se stesse».
Patrizia Lazzarin