Negli anni Sessanta, il mondo dei computer era radicalmente diverso. Maestosi mainframe occupavano intere stanze e il loro grande costo limitava l’accesso a pochi privilegiati: enti statali, grandi aziende e istituzioni accademiche. Il lavoro che oggi svolgiamo attraverso questi dispositivi complessi era eseguito da “computer” umani, per lo più donne, che calcolavano a mano. Ma dalle ombre di questi calcoli richiedenti tempo, sono emerse delle artistiche pionieristiche che hanno saputo sfruttare la tecnologia emergente per esplorare nuove forme d’arte.
La mostra “Radical Software: Women, Art & Computing 1960–1991”, allestita al Mudam di Lussemburgo, visitabile fino al 2 febbraio 2025, è dedicata proprio a loro. Un vero e proprio omaggio a quelle donne che hanno lasciato un’impronta indelebile nel campo dell’arte digitale.
Questa esposizione non è solo una mostra di opere d’arte digitali, ma anche un tentativo audace di esaminare e raccontare il contributo delle donne in questa disciplina. Curata da Michelle Cotton la rassegna riunisce oltre 100 opere realizzate da 50 artiste provenienti da quattordici paesi. La particolarità di quest’allestimento è che offre una prospettiva femminista, mettendo in luce come le artiste abbiano utilizzato i computer non solo come strumenti, ma anche come soggetti delle loro creazioni.
Si possono osservare lavori che spaziano dalla pittura alla scultura, giungendo fino alla performance, offrendo un’importante riflessione sul contributo femminile in un panorama artistico dominato da narrazioni al maschile.
Dalla Spagna all’America, passando per Italia e Francia, le artiste esposte rappresentano una varietà che va ben oltre i confini tradizionali del genere. È incredibile pensare a come queste donne siano state tra le prime a esplorare e a confrontarsi con una tecnologia in continua evoluzione, spingendosi oltre i limiti convenzionali dell’arte. Le opere invitano il pubblico a riflettere sul significato stesso del digitale.
Questo non è solo un evento artistico, ma una vera analisi critica dell’arte digitale prima di internet. Il titolo “Radical Software” omaggia un magazine fondato negli anni ’70 da Beryl Korot e altre donne, che si batteva per un accesso decentralizzato all’informazione e vedeva il “software” come un potente strumento di cambiamento sociale. Il periodo che va dagli Anni Sessanta agli Ottanta è cruciale: durante questi anni, l’arte digitale inizia a prendere forma e a sfidare paradigmi consolidati.
Le opere in mostra, come “Self Portrait as Another Person” di Lynn Hershman Leeson oppure “Swimmer” di Rebecca Allen, la prima animazione tridimensionale di un corpo femminile, riflettono il dialogo tra tecnologia e identità.
Tali creazioni si intrecciano con le teorie di figura femminista come Donna Haraway, che pubblicò “A Cyborg Manifesto” in quegli stessi anni. La storia delle donne nella tecnologia è legata a doppio filo con la seconda ondata del movimento femminista. Queste artiste hanno contribuito a una nuova estetica che riflette le tensioni e le trasformazioni culturali dell’epoca.
Con l’arrivo degli anni Ottanta, il mondo dei computer ha subito un’ulteriore trasformazione, possiamo dire che è esplosa una vera rivoluzione. “Una memoria più veloce e gli schermi migliori facilitavano interattività in tempo reale” dice Tina Rivers Ryan. E così, il computer diventa un dispositivo ludico.
Ciò ha portato all’emergere di una nuova era nel campo dei videogiochi, che ha catturato l’immaginario collettivo. In mostra ci sono opere come “Pop-Pop Video: Kojak/Wang” di Dara Birnbaum, un esempio che campiona pubblicità televisive di console, e i lavori innovativi interattivi di Nina Sobell e Sonya Rapoport.
Queste creazioni offrono anche spunti di riflessione sulle dinamiche interattive nascenti tra esseri umani e computer. Sotto questa luce, “Radical Software” non è solamente un’esposizione che si concentra sull’arte digitale, ma ridisegna la storia dell’arte stessa. Dall’analisi di tutte queste opere emerge il tentativo di far risaltare il ruolo delle donne nel panorama digitale, sottolineando i loro contributi in un contesto storicamente dominato dall’uomo.
Patrizia Lazzarin